Passa ai contenuti principali

Spazi Perduti: LA CRISI DEI LUOGHI DI INCONTRO

Ogni settimana io e mio marito, quando lavoriamo in smartworking, andiamo alla bellissima Biblioteca pubblica del paese vicino al nostro. Anche nel piccolo paesino dove abitiamo, in mezzo alla campagna, c'è una bibliotechina a fa orari troppo ristretti per noi. 

Ci piace molto usare questi spazi pubblici, sia per lavorare che per partecipare ad eventi della comunità.

Recentemente ho letto un articolo uscito su Marie claire che parlava proprio di come l'uso degli spazi cittadini sia molto cambiato negli ultimi anni, e mi ha fatto riflettere.


Lascio alcune parti qui anche per voi.

Cinquant'anni fa, nei bar di quartiere si discutevano le ultime notizie, gli adolescenti si ritrovavano nelle piazzette o nelle piste di pattinaggio e le sale da biliardo o i circoli ricreativi offrivano un rifugio informale per trascorrere il tempo senza spendere molto. Una realtà che ha plasmato per decenni il modo in cui le persone si incontravano e interagivano. 

Questi stessi luoghi oggi sono profondamente trasformati, hanno perso la loro funzione originaria di "terzi luoghi". Il concetto di "terzo luogo" è stato introdotto dal sociologo Ray Oldenburg, che negli anni '80 ne ha definito l'importanza: uno spazio sociale che non è casa né lavoro, ma che favorisce relazioni e comunità. 

Luoghi di culto e non, centri comunitari e ricreativi, parchi e circoli sociali, oltre a bar, palestre, centri commerciali, club improvvisati nei quartieri. Come li ha descritti Oldenburg, i terzi luoghi sono grandi equalizzatori, dove persone di background e prospettive diverse possono mescolarsi in un ambiente confortevole, senza pretese e a basso costo. 

Oggi la situazione è radicalmente diversa. La nostra socialità sta subendo una metamorfosi silenziosa ma profonda e la soluzione non può essere un impossibile ritorno al passato. Servono politiche urbane che incentivino la creazione di spazi di aggregazione accessibili, serve un ripensamento del modello economico dei locali pubblici, serve soprattutto una nuova consapevolezza.

> La nostra socialità è sempre più scandita da timer invisibili e fretta. I ristoranti lo dichiarano apertamente: "Il tavolo è vostro per due ore". Gli aperitivi sono ormai costosi quanto una cena completa. Il caffè viene consumato velocemente al bancone.

> Nei centri delle grandi città la mercificazione del tempo raggiunge il suo apice. Non basta più che un locale sia pieno: deve riempirsi più volte nella stessa serata. Le conversazioni vengono compresse, le cene accelerate, gli incontri cronometrati come slot di una catena di montaggio sociale.

> Il paradosso è che mentre i prezzi aumentano, il tempo concesso diminuisce. Questa dinamica sta creando una nuova forma di segregazione sociale. Oggi il tempo è diventato un lusso e la socialità è diventata un bene di consumo a tempo determinato.

> I luoghi dell'incontro casuale, la conversazione non programmata, la permanenza non finalizzata al consumo scompaiono. Al loro posto, spazi commerciali dove ogni minuto deve essere monetizzato, ogni interazione ottimizzata, ogni permanenza giustificata da un adeguato livello di spesa.

> La mancanza di spazi di socialità non mediati dal consumo sta creando una generazione che fatica a costruire, o almeno a mantenere, legami profondi.

> Le alternative digitali offrono una parvenza di connessione ma mancano dell'elemento fondamentale dei "terzi luoghi": la presenza fisica, l'incontro non mediato, la possibilità di costruire relazioni attraverso la permanenza e la condivisione dello spazio.

> Serve una nuova consapevolezza: la qualità della vita di una comunità si misura anche dalla sua capacità di offrire luoghi dove le persone possano semplicemente essere, incontrarsi, costruire legami.

W la lentezza!


Commenti